Terre Indiane e Turismo: una Questione Etnica

Che si tratti di un problema di prospettiva è evidente anche dal medesimo nome con cui popolarmente designiamo le popolazioni abitatrici di questi territori allorquando a partire dal ‘500-‘600 sopraggiunsero i primi europei. non siamo in “India” e l’errore di Cristoforo Colombo è rimasto come traccia indelebile su queste terre e sul nostro vocabolario. Dovremmo chiamare queste genti con la designazione di “nativi”, anche se “nativi” significa tutto e niente. Pensate a noi stessi che ci designiamo come italiani, o come veneti o come umbri, oppure andando più nello specifico e quindi in maniera anciora più caratterizzante ci potremmo definire trevisani, tifernati, vicentini e quant’altro. Noi siamo nati in un determinato luogo, ma i nostri genitori o qualche nostro avo è così legato fin dalla notte dei tempi alla terra di dove siamo nati noi? Difficile. Popolazioni originarie non possono esistere ciononostante per agire in una determinato contesto ambientale che diventa territoriale noi bisogna semplificare le informazioni che quella terra ci dà, compresi i gruppi umnai che vi abitano. Per questo parliamo di gruppi etnici (ma lo vedremo in seguito) e per questo parliamo di popolazioni “native”.

Ad ogni modo parlare di popolazioni native è comunque più preciso di parlare di “indiani” anche se una volta appurato l’errore si è subito acciostato un attributo a quel sostantivo, trasformando quindi gli “indiani” in “indiani d’america”. Sia chiaro la scoperta dell’America è un monumento all’intraprendenza umana e ai suoi arcani motori, e d’altronde sbaglia chi le cose le fa, soprattutto se le fa per primo, e non quelli che le commentano comodamente seduti con la loro tazza di te vicina ad un computer. Ma entriamo nel merito della questione.

Gli appartenenti alle varie nazioni indiane (i nativi) rivendicano con forza la propria identità culturale e il diritto ai propri territori (sempre e ammesso che si possa parlare di identità etniche, e domandandosi sempre cos’è in uno specifico momento un’identità etnica; e sop sempre ammesso che si possa parlare di identità culturale e domandandosi sempre cos’è in uno specifico momento quella identità).

Ma l’importanza che il contatto diretto con una cultura autentica (che per me non esistono, le culture sono sempre frutto di interazione) e scampata all’estinzione ha acquisito nel turismo, ha fatto sì che le cosiddette riserve siano diventate le principali attrattive turistiche di vaste regioni degli Stati Uniti, dove i progetti di promozione turistica sono talvolta gestiti proprio da assocciazioni che fanno capo alle nazioni indiane

Di George Catlin – Stu-mick-o-sucks (La gobba grassa del bisonte) grande capo dei Piedi Neri ritratto da Catlin
By Unknown – La-Roo-Chuck-A-La-Shar (Sun Chief) was a Pawnee chief who died fighting the Lakota at Massacre Canyon. http://www.firstpeople.us/photographs/La-Roo-Chuck-A-La-Shar-Sun-Chief-Pawnee.html, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=14966139
By photograph taken by Joseph Andrew Shuck – Oklahoma Historical Society, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=47048666
You are viewing an original photograph of a Cheyenne Indian Chief. The photo is by Wyman, and was taken in 1904. He captioned the image, “A Cheyenne Chief”
i Pawnee
Toro Seduto (1831-1890, foto del 1883)
Toro Seduto (1831-1890, foto del 1883) By David F. Barry, Photographer, Bismarck, Dakota Territory

TERRE INDIANE E TURISMO

L’idea di portare visitatori a scoprire le terre degli indiani risale al 1921 (ma come fenomeno di attrazione che generava profitti, l’idea di far evdere il mondo degli indiani d’america era già sfruttata ben prima : si pensi a Buffalo Bill-dedicargli uqalchje slidea) quando Erna Fergusson ed Ethel Hickey dettero vita a KOSHARE TOURS ( dal nome dei danzatori Pueblo che rappresentavano le divinità nelle cerimonie tradizionali) una compagnia di viaggi nata per guidare i primi turisti nei territori indiani di Arizona e New Mexico e per avvicinarli alla cultura dei nativi.

https://www.worthpoint.com/worthopedia/1927-santa-fe-railways-indian-detour-1905112534 (1927 SANTA FE RAILWAYS INDIAN DETOUR HARVEYCARS MOTOR LINK BROCHURE : così capite come mai successivamente parleremo proprio di Santa Fe come città e come “mitologica” ferrovia”)

KOSHARE TOURS venne poi acquistata dal signor Fred Harvey, lka cui compagnia nel 1875 aveva cominciato ad investire nei viaggi aprendo due ristoranti lungo la Kansas Pacific Railway , la ferrovia che attraversava Kansas e Colorado.
Qualche anno dopo sempre in Kansas, aprì la prima locanda e fu l’inizio di una rapida crescita.
L’acquisto di Koshare Tours servì a proporre negli alberghi e nei ristoranti di sua proprietà gli Indian Detours, itinerari dedicati alla scoperta dei “pueblo” (villaggi) indiani

Questi erano prodotti turistici volti a portare il “turista” nelle terre dei nativi (vendendogli ovviamente ciò che il turista si aspettava di vedere). Poi a qualcuno venne l’idea di portare il “far west” a casa del potenziale “turista”. D’altronde andare nel lontano ovest voleva dire spendere un bel po di soldi, se si fosse portato il far west a casa dei borghesi delle grandi cittadine della costa orientale (New York su tutte) si sarebbe potuto ampliare il bacino di utenza. E gli incassi. Inoltre portare il west in casa dei borghesi americani avrebbe voluto dire poterlo portare anche più lontano. L’Europa sarebbe stata pronta ad accoglierlo. E così …

Se quelli erano cmq prodotti turistici volti principalmente al mercato interno, va detto che comunque il “West” entrò assai presto nell’immaginario collettivo europeo, non solo attraverso la letteratura ma anche grazie ad un “circo” itinerante: il West di Bill Cody.
Nel 1889 ci fu la famosa tournee europea di Buffalo Bill (Wiliam Cody), che diffonde nel Vecchio Mondo il mito del selvaggio West. In questo caso non si portava la genete (gli europei, ma anche gli statunitensi del ricco nord-est) a vedere il west, ma si portava il “west” dalla gente. La prospettiva era molto diversa e ovviamente dallo scopo iniziale del Koshare tour ….

Buffalo Bill, ca.1875
Buffalo Bill nel 1903 Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=542153
Buffalo Bill’s Wild West, 1890, Italy. (mettere estratti da articolo che inviavo alle quinte)

Come si vede dalla foto sopra Buffalo Bill portò il suo cinema anche in Italia, con gran successo. LA cosa più particolare fu sicuramente non tanto evdere gli “indiani” in Italia, ma vedere gli “indiani” che si approcciavano o che giravano per Venezia. Un film tra fantascienza e l’onirico. (foto e articolo). Per dir la verità Buffalo bill dovrebbe aver avuto una relazione stretta, almeno a livello speculativo, con l’Italia. Leggendo varie riviste e varie monografie a lui dedicate ho trovato questa informazione. Il fedele amico di ogni cow-boy che si rispetti nell’immaginario e nella fantasia che Buffalo Bill voleva tanto impossessarsi e far entrare in giro, questo è il fucile. Ebbene tra tutti i nomi a cui si possono dare ad un fucile egli sceglse di chiamarlo: Lucretia Borgia. Non credo che Cody al secolo Buffalo Bill si portasse dietro voluminosi libri sulla storia di Lucrezia Borgia o che conducesse ricerche in biblioteche specializzate tra una caccia di bisonti e l’altra. Di sicuro però durante il suo tempo la “leggenda nera” di lucrezia Borgia era sulla cresta dell’onda (a sua insaputa) grazie alle tragedie di Victor Hugo, ad un’opera lirica di Donizetti. Di sicuro i riflettori su di lei erano sempre stati accesi, ma non è l’unica personaggio su cui al storia abbia tanto speculato. Ciononostante Cody prese quel nome per battezare il suo fido fucile. “A quanto sembra decise di battezzarla così perché gli sembrava splendida e letale come l’omonimo personaggio che a quel tempo era protagonista di romanzi” e altro che tanto successo avevano in America come in Europa. Aldilà della realtà storica, che per il nostro punto di vista pragmatico non ce ne voglia la bella Lucrezia, è particolare che quel cow-boy scelse proprio questo nome per il suo facile. Particolare fino ad un certo punto se consideriamo con quale facilità il “far west” sia entrato nell’immaginario collettivo italiano. E d’alòtronde se la Lucrezioa Borgia sia o meno la depravate e avvelenatrice su cui molti a loro tmpo scrissero fiumi di inchiustro o se fu solo vittima dei nemici di suo padre che puntavano a screditare lui attraverso eli, questo nopn lo sapremo mai. Certo è che per quanto questa ragazza e poi donna fu chiacchierata non abbiamo nemmeno un ritrattoc he possa essere attribuito a lei con certezza. Ad ogni modo secondo gli studiosi quelli a lkei attribuiti e fatti da Veneto sembrano assai probabili. Ma di certo l’accostamento di quel fucile con questa immagine tramandata di Lucrezia, fa parte di un personaggio davvero tagkliato per lo show-business. (Il fucile è ora conservato al Buffalo Bill Center of the West)

Bill e il suo fucile Lucretia Borgia, foto Public Domani
Lucretia Borgia – Buffalo Bill’s Springfield
Artist
Bartolomeo Veneto  (1502–1555)  
Title
Idealized Portrait of a Courtesan as Flora
Description
Traditionell gilt das Werk als Bildnis der Lucretia Borgia, Tochter von Papst Alexander VI.. Es zeigt eine unbekannte Dame in Gestalt der antiken Frühlingsgöttin Flora.
Date
circa 1520


Di Pinturicchio – http://www.utfinalese.it/pagine/abiti.html, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=7658444
Presunto ritratto di Lucrezia Borgia nella Disputa di Santa Caterina del Pinturicchio. L’affresco si trova nell’Appartamento Borgia.
(Fig 1) The Adventures of Buffalo Bill (1914)

Ebbe successo e girò in lungo e in largo. E quando non potè più girare per gli acciacchi che l’avanzare dell’età porta con sé, allora ci costruì sopra le sue avventureanche dei best seller della carta stampata. sembra abbastanza assodato che lui costruì il suo mito, ci ricamò molto sopra creando l’aspettativa. lavorò forse su una base a cui aggiunse molto di fantasia. un pò come è il turismo, in ciò è stato davvero un antesignano. altri avevano creato “aspettative” e ingigantito le loro imprese. Questo non è una novità. Lui però (si aggiunga) ci guadagnò parecchio sopra.

Si può legittimamente dire che il circo di Buffalo Bill abbia acceso ancor più i riflettori su questo mondo al confine tra il mito e l’immaginario che era il far West. Si veda anche solo la proliferazione di storie, romanzi, fumetti che proliferarono in Europa e soprattutto in Italia in relazione a questo mondo lontano e selvaggio che tanto stuzzicava la fantasia dei civili borghesi delle grandi città.

(durante il tour che lo portò a Londra)

Quando si parla di nativi vi sono dei termini che a volte vengono utilizzati interscambiabilmnete e che a livello popolare hanno entrambi grosse sfumature di significato. Parliamo dei “Pueblo” e delle “Riserve”. Facciamo quindi un pò di chiarezza.

PUEBLO e RISERVE: il mondo dei nativi americani oggi

PUEBLO Il termine Pueblo ha una duplice funzione: indica sia il villaggio in cui abitavano i nativi americani degli stati americani del sud-ovest, sia una tribù. Nei Four Corners, il numero di tribù indiane è molto alto: nella sola porzione al confine tra New Mexico e l’Arizona nord-orientale se ne contano circa 50.

RISERVA L’etimologia del termine riserva (riserva indiana) deriva  dalle porzioni di terra che le tribù riservavano per se stesse, nel momento in cui si stipulavano i trattati in base ai quali la maggior parte dei territori in cui queste vivevano veniva ceduto agli Stati Uniti. Quando poi il governo federale decise di trasferire o di confinare le tribù indiane entro determinate aree, queste ultime furono chiamate allo stesso modo, anche se si trovavano in zone che non avevano nessun legame storico con le popolazioni a cui erano assegnate

Campo Siouux all’interno di una riserva
La riserva indiana di Fort Belknap

LE “RISERVE” OGGI Oggi la riserva è un’area geografica la cui gestione amministrativa è affidata a una tribù di nativi, che la esercita generalmente attraverso un consiglio tribale. Su tutto il territoprio federale se ne contano più di 300, che coprono un territorio di oltre 225000kmq dove vivono circa 600 tribù

(I tour che oggi vi portano dentro a queste riserve fanno quasi etnerezza. Si passa da un pacchiano orgoglio “indiano” (mi si perdonerà se offendo la sensibilità di chi ha bisogno di immedesimarsi in qualche cosa, ma per quel che vedo io questa mostra in bella vista delle proprie “origini” è così artificiale che mostra una verità umana disarmante) ad una povertà, a volte si potrebbe dire “una relativa” povertà, che non ha nulla di ostentato. Ci sono siti e blog che vi parlano orgogliosi di questi viaggi alla ricerca della vita vera della riserva o alla ricerca delle origini dei nativi. Viaggi in cui il rimpiantod i un mondo passato è un leit motiv costante e l’esaltazione del buon selvaggio a scapito del civilizzato cittadino una verità sacrosanta. Ho la tendenza a dubitare un pò di tutto, forse troppo. Ma in questi acsi non mi viene nessun dubbio nel provare un mix tra tenerezza e compassione per questa idilliaca “ricerca”. Ciò non diminuisce il mio interesse per questo mondo “costruito” ma allo stesso tempo tangibile. In funzione di ciò che vi dico oltre a varie ricerche nel web potete vedere anche l’articolo del National Geographic che vi propongo … e voi fate le vostre considerazioni … mettetele a confronto di quanto si può dedurre di quella che in caratteristiche generali si potrebbe definire come la “QUESTIONE ETNICA” che affronteremo alla fine di questa parte sui Four Corner.)

A volte succede che alcune tribù si trovino in territori storicamente appartenenti a un diverso gruppo nativo, come per esempio accade alla riserva Hopi, collocata all’interno della Navajo Nation (i Navajo non accettano il termine “riserva” e l’hanno sostituito con quello  di “nazione”- che era anche il termine originario per designare la tribù).

Una mappa della grande riserva dei Navajo

http://www.kstrom.net/isk/maps/az/navhopi.html DISPUTA. RISERVA HOPI: La riserva fu istituita nel 1882, ma i suoi confini attuali sono diversi da allora in quanto alcune aree, fra cui una vasta zona nella parte nord-orientale, nota come Black Mesa (anche chiamata Big Mountain), sono state a lungo contese fra le tribù Navajo e Hopi. Allo stato attuale, dopo gli ultimi pronunciamenti del Congresso del 1974 e 1996, sembra che i confini siano stati riconosciuti da entrambe le tribù e quindi si può considerare conclusa una disputa durata oltre cento anni. In proposito vedete la chiara descrizione di questo conflitto nel seguente link: http://www.kstrom.net/isk/maps/az/navhopi.html

A causa delle vicende storiche , alcune riserve si sono frammentate in ulteriori microzone , il che crea comprensibili difficoltà di gestione. A queste si aggiunge la controversa questione della sovranità tribale, riconosciuta, ma vincolata e regolata da leggi sul possesso della terra, che però variano in base al gruppo di appartenenza e alla riserva stessa

MA RITORNIAMO ALLA CONNESSIONE MODERNA TRA PUEBLO/RISERVA E TURISMO

Le norme sulla concessione terriera consentono ai nativi l’utilizzo delle risorse per lo sviluppo di iniziative turistiche. È stato così che la gestione di strutture ricettive , circuiti di visita o aree di ristoro e aree naturalistiche e archeologiche sono lasciate all’iniziativa degli indiani/nativi. I quali cercano di sfruttarle il più possibile. Ovviamente e giustamente.

Per esempio la famosa Monument Valley, in realtà si chiama Monument Valley Navajo Tribal Park, non è un parco nazionale, in quanto parte della riserva Navajo e dunque territorio che appartiene ai nativi americani. La Monument Valley è l’icona del “FAR WEST” e viene proposta in questi termini:

Navajo Nation Parks & Recreation – Travel Navajo Nation

( https://navajonationparks.org/

La connessione tra ambiente naturalistico e turismo etnico è alquanto evidente. Forse anche del tutto normale. ma le cose normali ci diventano, di certo non ci nascono.

E basta vedere le prime indicazioni che vengono date nel sito per capire che la Monument Valley è una fonte di guadagno (ovviamente e giustamente)

We offer Daily Entry Fee for Monument Valley Tribal Park. Entrance fees are priced on a per vehicle or per person basis. Daily Entry Fee is valid for one day (Arrival Date). If you plan on hiking, you must also purchase a Backcountry Permit, which you can add to your cart during the checkout purchase or feel free to purchase from the NN Park Visitor Center. Please have money order, cash or credit card for purchase.
To visit the Antelope Canyon area, you must purchase a guided tour for all tribal park areas.
All NN Tribal Parks Prohibit the use of Drones.

( https://navajonationparks.org/ )

sulla monument valley secondo me è fatto molto bene (e rende l’idea dal punto di vista delle connessioni di un italiano) questa pagina (da FAR VEDERE):
https://www.mimmorapisarda.it/USA/05.HTM (questo da segnalare quando tratto nello specifico la MONUMENT VALLEY più avanti)

Nonostante la libertà dei nativi di sfruttare in senso turistico i propri territori (o meglio, i territori assegnatigli) ovviamente ci sono forti ingerenze “esterne” (anche perché come dimostra la questione dell’identità etnica è difficile spesso demarcare ciò che è “interno” da ciò che è “esterno”). Con questi termini Nicoletta Salvadori presenta la questione in un volume della Zanichelli (N. Salvatori, Corso di Geografia Turistica, 2014):

Da ZANICHELLI: tuttavia non è troppo difficile per i grandi capitali bianchi manipolare e dirigere le decisioni tribali, così come non sempre nelle comunità native è forte la sensibilità nei riguardi della tutela del patrimonio naturalistico e culturale, soprattutto quando si parla di affari che muovono milioni di dollari

Nicoletta Salvatori

Nell’ambito delle iniziative per la crescita economica delle riserve si è arrivati anche quindi a INIZIATIVE CONTROVERSE.

Ovvero sfruttando i margini di libertà giuridica che le riserve hanno (così come d’altronde i vari Stati degli USA) non ci è voluto molto per andare a cercare di lucrare tramite i casinò. Tra le più controverse iniziative all’interno delle riserve indiane c’è l’utilizzo della terra per l’apertura dei casinò destinati ad attirare turisti.

In tal senso un fortunato esempio di casinò gestito da nativi è:
https://viejas.com/ (si trova in California vicino San Diego è nato per volere della tribù dei Viejas. Continua ad essere gestito da tale tribù in maniera così prolifica che nel tempo si è sempre più ingrandito andando anche ad allargarsi non solo nella struttura ma anche nella sua offerta turistica. Basta che guardate il loro sito per rendervene conto.)

ingresso al casino Viejas
Viejas Casino in Alpine California (questo è l’ampliamento dell’Hotel) owned and operated by the Viejas Band of Kumeyaay Indians

Faccio un’altra citazione da Zanichelli (Corso di geografia Turistica):



Questa attività illegale negli Stati Uniti tranne che ad Atlantic City e in Nevada(era.. questa è una mia incursione), beneficiano di alcune agevolazioni fiscali importanti, ma sono di fatto corpi estranei, anche se costituiscono ormai da diverso tempo la principale fonte di introito nel sistema economico delle riserve.

Nicoletta Salvatori (Zanichelli)

In realtà la situazione è ora un pò diversa. La legalizzazione (totale) del gioco d’azzardo, che ora per educazione nei confronti dello Stato che prima lo proibiva e adesso lo legalizza, è ora una realtà quasi dappertutto. Si chiama “betting”. È un nome piuttosto rispettoso per un ‘attività che prima era illegale e che ora è stata legalizzata. Per uno Stato e ancor più per una società, il passaggio dall’illegale al legale di un’attività deve passare inesorabilmente anche attraverso una sciacquata di vocabolario. https://www.iogiocopulito.it/stati-uniti-dazzardo-la-legalizzazione-totale-del-betting-e-realta/ Vedere in riferimento a ciò anche il seguente link: http://www.vita.it/it/article/2015/02/05/azzardo-damerica-a-new-york-la-nuova-industria-del-gioco-e-gia-in-cris/129295/ . È anche pur vero che la differenza tra un qualcosa di elgale e un qualcosa di illegale risiede solo nbella considerazione che a quel qualcosa riserva la società. non è una questione di giustizia universale. questa consideerazione spesso passa attraverso i possibili guadagni che di ciò ne possiamo fare. una scusa per legalizzare qualcosa la si può sempre trovare se se ne ha estremo bisogno economico. il problema è se il presente sia un trampolino verso ikl futuro os e lo è verso un baratro. la questione è sempre piuttosto ambigua e spinosa. di certo per un turista attratto (o suggestionato) dalla ricerca della vera “vita” e “comunità” dei nativi americani, trovarsi nel mezzo di un casino non è che sia proprio il massimo, da qui le paroel di Salvatori:



Anche se i proventi del gioco d’azzardo hanno consentito miglioramenti nel livello di vita degli indiani americani, questo sistema finisce per distruggere la specificità dei territori e a lungo andare la loro stessa qualità di attrattiva turistica

Nicoletta Salvatori (Zanichelli)
una parte del complesso Viejas casino & resort

Sul fatto che ciò intacca l’attrattiva turistica (almeno di quella componente turistica alla ricerca di “autenticità”, credo che si possa concordare con Salvatori, come propendevo sopra. Sul fatto che tali attività “finiscono per distruggere la specificità dei etrritori”, sinceramente avrei i miei dubb. La specificità dei territori è un qualcosa sempre in fieri, se rimane stabile queste peculiarità secondo me c’è qualcosa che non va o che ci sfugge. Inolter (come si vedrà in altro capitolo) dubitando sul concetto di “identità etnica” cme un qualcosa di assodato e stabile sono poco propenso a riconoscere queste idnetità e non capisco il senso del “salvaguardare” queste comuinità come se fossero dei epzzi da museo che dovrebbero “saklvaguardarsi” per noi(!).

Ad ogni modo visto che si parlava del gioco d’azzardo e della sua ambiguità (sotto il profilo della legalità), guardatevi anche: https://www.laleggepertutti.it/187145_quando-e-gioco-dazzardo ; https://www.giochidislots.com/it/blog/lo-strano-rapporto-tra-gambling-e-legislazione-statunitense-tra-passato-pre ; https://www.ilfattoquotidiano.it/2012/03/25/giochi-dazzardo-qualche-elemento-chiarezza/199673/

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